“Encanto”: di quando i talenti cadono in trappola e di come “salvarli”. (Seconda parte)

[Leggi la prima parte dell’articolo]

Capirai quando trovi

Una di queste “TSD” potrebbe proprio risiedere nella rimozione e allontanamento di  Bruno e delle sue previsioni, liquidate come causa di sventura, mentre forse non erano altro che tentativi di “mettere la cintura di sicurezza”, di applicare quel proverbio cinese che recita “Il tetto che ti riparerà dalla pioggia costruiscilo quando c’è il sole”.

E Mirabel applica, grazie alla sorella Luisa, una sorta di pensiero strategico all’inizio del suo percorso. “Aspetta” dice smarrita alla sorella Luisa, come si trova una visione? Non so cosa cercare.  E Luisa le risponde Lo capirai, se la trovi.

Non “chi capisce trova”, non “chi è consapevole trova”, ma uno dei saggi proverbi “evergreen” della nostra tradizione: “chi cerca trova”. Con la specifica che qui non conosciamo prima cosa troveremo.

Emerge chiaramente che, nella stragrande maggioranza dei casi, non esiste una consapevolezza razionale che si acquisisce astrattamente per poi agire coerentemente il cambiamento. Come se bastasse leggere che il fumo fa male per smettere di fumare. Anche per Mirabel si tratta di “cambiare per capire”. Capirà se e quando troverà. Cercare significa mettersi in azione, agire già un cambiamento che, per tentativi ed errori, permetterà di capire, di trovare la soluzione.

Se vuoi sbrogliare una matassa non devi necessariamente risalire alla causa che l’ha provocata. Devi cominciare a tirare qualche filo. E vedere se la matassa si stringe o si allenta. Puoi anche sbagliare. Come succede a Mirabel che nella sua ricerca della “visione” sale per una scala e vede, solo quando è salita in cima, che la porta è dalla parte opposta.

Se vuoi ottenere il cambiamento non c’è prima da capire. Devi cambiare qualcosa prima per capire poi.

È il cuore dell’approccio di Coaching «strategico». Non ci si rivolge alla ricerca delle «cause», ma alla «soluzione» dei problemi passando per un “deciso – e sorprendente – mutamento nelle dinamiche relazionali e della comunicazione” (Coaching Strategico, R. Milanese e P. Mordazzi).

Se vuoi vedere impara ad agire ci dice Heinz von Foerster, sintetizzando con questa frase un vero e proprio “assioma” del Problem Solving Strategico. Ed è proprio quello che fa Mirabel. Ha agito e ha trovato la visione. Solo agendo, e non rendendosene consapevole prima, ha potuto comprendere il futuro.

E, nella visione, il suo futuro “tutto da scrivere”, la aspettava. “Non mettere fretta al futuro” le consiglia Bruno, anche qui richiamando, a mio parere, un altro stratagemma strategico il partire dopo per arrivare prima. Che è un po’ la sintesi dell’avventura di Mirabel, se ci pensiamo.

La forza generativa del capitale sociale

La storia di Mirabel ci aiuta a ricordare, in una cornice di “favola” o, se vogliamo, di “realismo magico” come qualcuno ha voluto definire la cifra stilistica di Encanto, che il benessere di ciascuno e di una comunità dipende dalla solidità e dalla qualità delle nostre relazioni, dal grado di fiducia reciproca su cui si basano. In sostanza dal “capitale sociale” che siamo in grado di costruire.

Virtù invisibile ai molti, troppo spesso. Come alla bambina che con sincerità o malizia, o entrambe, mette in discussione la “specialità” di Mirabel dicendole: “forse hai il talento di negare la realtà”.

Certo, appare come una frecciata velenosa, ma potrebbe anche essere apprezzata come l’opportunità di un cambio di prospettiva. La realtà è soggettiva, è percezione, è costruzione sociale. Avere il potere di percepirla diversamente può effettivamente riscriverla secondo un diverso punto di vista, per raccontarla diversamente, per affrontarla con un diverso atteggiamento.

Encanto ci mette in guardia dalla “solitudine” del talento. Dal concetto esasperato del talento. Dal talento che diventa sterile perché è ridotto ad esibizione e perde il suo senso, rispondere a dei bisogni. Il talento che da solo può perdersi e rendersi inutile.

E Mirabel ci parla di un talento negato, o quantomeno poco riconosciuto, ma in realtà decisivo per una comunità, per una società: il talento “relazionale” si potrebbe definire, l’abilità di costruire “capitale sociale”, attraverso l’intelligenza emotiva, ovvero la “capacità di relazionarsi agli altri a partire da un paradigma di fiducia, invece che da quello del timore” (Whitmore, Coaching), abilità che permette di diventare “catalizzatori del cambiamento”. Sono le capacità congiunte che possiede Mirabel, l’accoglienza dell’altro e il “non disunirsi, per citare un altro film recente (“È stata la mano di Dio”, Sorrentino).

Encanto ci fa imparare che “ciascuno di noi è qualcosa di più del suo talento”.

Quello che fa la differenza è il saper “mettere insieme”, riconoscendo e valorizzando le diversità, è “unire”, è “proteggere”, è sviluppare resilienza, sopratutto nei momenti di difficoltà. È il saper ottenere il meglio da tutti, ciascuno per il suo valore. E’ realizzare che puoi essere esattamente quello che serve alla comunità perché puoi fare tutto se non serve che sei perfetto.

L’umanità si è potuta evolvere non tanto grazie alla forza ma per la capacità di cooperare. Ciò che distingue il concetto di individuo da quello di persona è proprio l’appartenenza di quest’ultima ad una rete sociale e culturale.

Lo vediamo nelle comunità, come nelle aziende, come nella politica.

Team building

Leader incompetenti e talenti ribelli

In questo senso il tema delle “trappole del talento” non può non incrociare quello della leadership. Nel bel libro “Perché tanti uomini incompetenti diventano leader?” Tomas    Chamorro-Premuzic sostiene che sbagliamo i criteri di selezione e valutazione, le qualità  alle quali associamo il talento. Assecondiamo leader narcisi e con il culto dell’ infallibilità, perché ci sembra che quelle siano le caratteristiche per attribuire la “stoffa del leader”.

Quindi esaltiamo leader ego-centrati rispetto a chi possiede umiltà e sobrietà, ci piace più chi fa la voce grossa rispetto a chi mantiene un profilo “understatement”. Si privilegiano quindi i tratti utili ad “imporsi” come capo, piuttosto che concentrarsi su quelli che consentono di guidare efficacemente una comunità, un paese, un’impresa.

E il rischio non è solo che il talento sotto pressione si blocchi e si smarrisca come abbiamo visto in Encanto o che si equivochino le stesse qualità alle quali associare il talento.

Il talento può infatti fuggire, non solo da chi lo possiede, ma dagli altri, da certe aziende ad esempio. Come dice Francesca Gino l’autrice di “Talento ribelle”: “le relazioni sul lavoro sono un fattore importante, e vengono valorizzate quelle che includono empatia e rispetto. Quando queste condizioni mancano, i dati suggeriscono, il talento se ne va, in cerca di migliori opportunità”.

Non se ne parla ancora abbastanza ma, se dovessi basarmi sulla mia esperienza, passata e presente, di Manager e Coach, non avrei dubbi ad indicare nell’incapacità delle organizzazioni di creare un clima, una cultura, di buone relazioni interne, uno dei costi economici tra i più trascurati e meno gestiti nelle aziende.

Il Coaching, sia come consulenza di processo da parte di un professionista sia come approccio acquisito dal Management, può rappresentare, per la sua capacità di “scoprire soluzioni insieme” e affinare competenze a partire da quelle relazionali, una grande opportunità di facilitazione e crescita.

Concludendo, mi piace pensare che la piccola ragazza occhialuta “senza talento”, un po’ emarginata un po’ compatita dalla famiglia, sia riuscita nell’impresa di salvare il miracolo di Encanto trovando il coraggio non solo di assumersi la leadership, ma di incarnare una modalità differente di leadership.

Un modello che non punta esclusivamente alle competenze specialistiche ma a quelle trasversali, comportamentali e relazionali, a partire dall’intelligenza emotiva e dalla costruzione di capitale sociale. Una leadership che opera secondo lo schema “agisci, apprendi, adatta”, focalizzata sul “bene comune” piuttosto che sul proprio ego, attenta al bilanciamento tra interessi e all’evoluzione positiva del gruppo. Quella che potremmo definire “leadership saggia”, sapendo che come dice R.J. Sternberg “Il mondo non soffre per mancanza di intelligenza, soffre molto per mancanza di saggezza”.

[Leggi la prima parte dell’articolo]

Condividi su:

Articoli recenti: