Le competenze trasversali (“soft” skills) nel futuro delle nostre PMI. (Seconda parte)

Nella prima parte del nostro articolo abbiamo richiamato alcune recenti ricerche contenute nell’ultimo Rapporto della Fondazione Nord-Est, che indicano come “polifunzionalità, polivalenza, abilità cognitive, relazionali ed analitiche” siano le caratteristiche, insieme alle competenze tecniche, considerate centrali, oggi e per il futuro, da imprenditori e lavoratori per la competitività delle aziende.

Si tratta in prevalenza appunto delle cosiddette soft skills, che di soft hanno sempre meno, poiché “sono diventate imprescindibili nel determinare la professionalità di un lavoratore e la sua occupabilità.” Se non vogliamo parlare di nuove “hard skills” sarebbe quantomeno opportuno definirle almeno come competenze strategiche.

Un quadro confermato anche da un’altra indagine, richiamata sempre da Marini, svolta presso i manager HR del settore automotive. Guardando al 2025 come orizzonte, le competenze maggiormente richieste sono quelle di contenuto (79,8%), seguite dalle abilità cognitive (79,6%) e relazionali (76,1%). Sempre meno considerate invece le abilità tecniche (50,0%) e ancor meno quelle fisiche (15,8%).

Del resto, in una situazione ormai permanente di evoluzione, sempre più accelerata, di tecnologie, di mercati, di relazioni economiche, in un contesto globale sempre mutevole e, per certi versi, poco prevedibile, risolvere problemi, gestire le persone  e gli eventi, creando contesti dove il potenziale umano si possa pienamente sviluppare, è una priorità assoluta.

I dati del World Economic Forum sono ancora più espliciti, se ce ne fosse bisogno.

Tra le 10 competenze più importanti per il 2025 secondo il World Economic Forum 5 sono competenze riconducibili, direttamente o indirettamente, al Problem Solving (pensiero analitico e innovazione, capacità di Problem Solving complesso, pensiero critico e capacità di analisi, creatività e spirito d’iniziativa, Problem Solving e ideazione).

Altre tre hanno a che fare con il lavoro in team, la leadership, la gestione dello stress. Solo 2 sono competenze legate all’uso di nuove tecnologie.

Da qui a 5 anni, dice il WEF, metà dell’intera forza lavoro dovrà adeguare le proprie skills per riuscire a rimanere competitiva in un mercato che sta subendo una trasformazione senza precedenti, sotto la perenne spinta dell’automazione e a cui si è affiancata la
 crisi economica scatenata dalla pandemia.

Soft skills

Entro il 2025, continua il WEF, a fronte della sempre maggiore automazione, si perderanno 85 milioni di posti di lavoro, ma si creeranno 97 milioni di nuovi posti, legati ad una nuova divisione del lavoro fra esseri umani e macchine.

Si parla sempre di innovazione tecnologica in relazione alle macchine e alle competenze tecniche per farle funzionare.

Ma c’è una “tecnologia” altrettanto importante, tutta umana. E’ la “tecnologia” delle relazioni, della comunicazione, della negoziazione, dell’equilibrio emotivo, del Problem Solving. Delle competenze trasversali appunto.

Un errore che si potrebbe commettere in questa fase è quello di pensare a questi cambiamenti come a processi che interessano esclusivamente le grandi imprese.

Non è così, l’indagine citata di Fondazione Nord-Est conferma che il tessuto produttivo italiano, composto in larga misura da piccole e medie imprese, è già consapevole della necessità per le aziende di considerare, sia a livello di selezione che a livello di formazione dei collaboratori a tutti i livelli, valutazioni e percorsi di apprendimento relativi alle competenze trasversali.

Un’esigenza, quella di definire per le PMI un modello specifico di soft skills e uno strumento per la loro valutazione, che non è nuova. Ha già qualche anno il lavoro di ricerca[1] sul campo condotto in questo senso da  Cortese, Verano, Fantini.

Un’indagine condotta tra decine di imprenditori e responsabili del personale di PMI che ha consentito di classificare ben 36 soft skills, ciascuna delle quali viene definita in modo articolato, che confluiscono in 6 fattori che elenco di seguito. Ritengo la classificazione davvero molto utile, anche se da integrare con alcune brevi considerazioni che faccio a margine. 

  1. organizzative/strategiche: organizzazione/pianificazione, gestione del tempo, visione strategica/visione olistica, flessibilità, Problem Solving; pragmatismo/concretezza.
  1. relazionali: intelligenza relazionale; fare squadra/cooperare; Leadership; Networking; negoziazione; gestione del conflitto.
  1. di pensiero: velocità di pensiero e azione; capacità decisionale; capacità di semplificazione e sintesi; pensiero multidisciplinare; apertura al cambiamento; orientamento al futuro.
  1. di gestione emotiva/self control: intelligenza emotiva; stabilità ed equilibrio emotivo; gestione dello stress; gestione della sconfitta; consapevolezza di sé; apertura alla diversità.
  1. di motivazione: perseveranza/determinazione; proattività; responsabilizzazione; Self-promotion; orientamento al risultato; intraprendenza.
  2. di area soggettiva: correttezza/etica; fiducia in se stessi; pensiero positivo; pazienza; autonomia; energia.

La prima considerazione è che non viene citata la comunicazione come soft skill. Ci sono riferimenti alle competenze relazionali che in qualche modo la includono, ma considerato il livello di dettaglio non ci sarebbe stata male l’indicazione della comunicazione e del dialogo strategico in particolare come specifiche competenze trasversali

L’organizzazione è il mezzo e il messaggio nello stesso tempo, potremmo dire. E’ azione e comunicazione. L’organizzazione è ciò che essa “agisce” e comunica al proprio interno e all’esterno. I processi di comunicazione, il linguaggio digitale ed analogico, che stanno a fondamento delle dinamiche relazionali interne ed esterne, sono costruzione organizzativa, sono sempre di più leva del successo dell’organizzazione. In quanto tali dovrebbero trovare un proprio spazio distinto, se vogliamo all’interno della categoria relazionale, nella classificazione.

Come sostiene Peter Drucker, tra le 8 “pratiche” del manager efficace, ci sono la responsabilità di comunicare, ovvero la capacità di far comprendere e far condividere e quella di pensare e parlare come “noi” invece di “io”. Ciò che tiene insieme le organizzazioni sono le informazioni, dice sempre Drucker, non i ruoli o l’autorità.

L’altra considerazione riguarda il riferimento, a mio parere limitante, al solo pensiero positivo. Qui parlerei in realtà di pensiero strategico, che utilizza entrambe le polarità, positiva e negativa, di pensiero, non viste in contrapposizione ma sempre connesse e integrate, e ricorre anche all’energia derivante dal pensiero “negativo” rendendolo produttivo e funzionale al cambiamento desiderato.

Indispensabile quindi per le nostre PMI, per far fronte in modo adeguato alle sfide competitive dei mercati in evoluzione continua e ai contesti di incertezza endemica, attrezzarsi alla flessibilità, alla capacità di adattamento, alla resilienza, adottando meccanismi di selezione che prevedano valutazioni anche sul grado di acquisizione delle competenze trasversali. Così come altrettanto fondamentali sono percorsi formativi,  a carattere esperienziale, che vadano nel senso di rafforzare e sviluppare queste competenze sempre più strategiche.

Ma, come diceva H. Von Foerster, “se vuoi vedere, impara ad agire”. L’implementazione, se così possiamo dire, delle competenze trasversali è un aspetto almeno altrettanto importante dell’apprendimento formativo e può trovare una dimensione di ulteriore efficacia ricorrendo in modo più deciso a quella possibilità unica di “immergersi” nel vissuto dei casi concreti e reali che viene assicurato da percorsi di Business Coaching individuale e di gruppo, da quella “consulenza di processo” cioè che sblocca, sostiene, sviluppa le performance delle persone, molto spesso proprio in un’ottica di sperimentazione e sviluppo “sul campo” di quelle diverse qualità che, come abbiamo visto, costituiscono l’ossatura di ciò che definiamo competenze trasversali.

[Leggi la prima parte dell’articolo]

 

1 “Le competenze soft come fattore-chiave per il successo delle imprese. Una proposta di modello.”  in “Personale e Lavoro”, n. 571, 2015

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